La morte del papà, il buio, le emozioni forti, il bisogno di salvare il mondo e poi la luce, il viaggio a Londra nel racconto ‘Sabina non grida’.
“Cosa succede? Non capisco, dov’è la mia mamma?“ mi chiedo. Sicuramente non è nulla che mi appartiene, che avevo mai sperimentato prima, quella strana sensazione di impotenza e di solitudine che sarà mia negli anni a venire. Testimone di un evento che una bambina non dovrebbe mai vivere, la ferita dell’anima. Il telefono squilla, cerco di prendere la cornetta, ho le manine piccole, in punta di piedi, l’afferro finalmente. “Pronto? Sabina”, dall’altra parte della cornetta un uomo, ah sì.. è un amico di papà. “Ciao Papà è a terra”. “Come a terra? Sabina! Chiama subito la signora Cenzina, arrivo subito”. La signora Cenzina, una donna dai modi delicati che ha il timore di invadere la vita altrui e che non riuscirò mai a sentire veramente, nascosta dietro una formalità che all’apparenza può sembrare distante, ma che credo dovuta ad un mondo emotivo che non vuole o riesce ad esternare. Ad ogni modo, la signora Cenzina diverrà una presenza costante nella realtà in cui sono cresciuta portando avanti l’apparente uniformità della quotidianità nonché, suo malgrado, diverrà il collegamento a quel momento che ha mandato in mille pezzi la serenità della mia infanzia.
Dov’è finito l’arcobaleno?
Corro, suono il campanello, la vedo e ripeto: “Papà è terra..”. Lei si affretta, corre, lo chiama, lui non risponde, chiama l’ambulanza. Non ricordo più cosa avviene o forse in qualche modo ho cancellato tutto, troppo dolore? Non so cosa possa essere avvenuto nella mente, ma il ricordo immediatamente successivo è l’immagine di mia madre sulla porta. “Cosa succede”? La sua voce è in mille tonalità diverse che non riesco a definire, ma mi inquieta, c’è un suono che richiama la disperazione, è come se avesse già visualizzato cosa dovrà vedere. Cadono le borse della spesa, corre all’interno. E per me scende di nuovo buio. Poi d’improvviso, la sala da pranzo, le tende bianche, luce, tanta luce, c’è il sole e tanta gente … non ho un ricordo di chi sono e cosa facciano. Ricordo soltanto tante persone, in piedi che si muovono, parlano, ma non so cosa dicono, mia madre che piange vicino a mio padre e ancora altre persone, tante persone. Non ne ricordo neanche una … ancora buio. Non ricordo i giorni immediatamente successivi, non ho mai chiesto e non ho voluto sapere. Lo psicologo, la scuola, cosa ho fatto, con chi ero, è come se fosse tutto cancellato, tranne qualche immagine sporadica. Dov’è l’arcobaleno? Perché tanto buio? Nonostante tutto, c’è amore, mi è rimasto dentro … assorbito, da dove viene non saprei. Nonostante la mancanza di lui che diviene una consuetudine e che mi porterà a cercarlo negli anni a venire, nei ricordi che non ho, l’amore c’è. Da dove sia arrivato non saprei, ma l’ho sempre sentito dentro. L’amore che i miei genitori nutrivano l’uno per l’altra e l’amore che mia madre ha sempre portato dentro per lui si è trasmesso, credo che le parole non servano molto, i sentimenti e le emozioni sono vibrazioni che bypassano l’aspetto razionale, le percepisci e basta. La vita continua, deve continuare. Non ho scelta.
Il bisogno di salvare il mondo
Tutto è dentro e fluisce, dove? Non saprei, in qualche angolo buio della mia mente, chiuso a chiave perché forse ricordare sarebbe stato insopportabile. Le emozioni restano tanto impresse nella mente da far affondare il cuore. Con il tempo il cuore affonda meno, ma quel peso c’è, esiste. E’ come un colpo al cuore, non dato da una freccia, ma da un martello, potente, forte, pesante. Ha cambiato intensità, ma è lì. A differenza di tanti anni, mi chiedo: qual è il senso di tutto questo? Perché un senso lo voglio trovare, non posso e non voglio pensare che tutto accade perché deve accadere, che non c’è un filo trainante, che sono soltanto vittima, come tante altre, di una vita giusta o ingiusta che sia, se fosse così, mi denudo di responsabilità e della possibilità di fare scelte. Perché, in definitiva, c’è sempre la possibilità di scegliere, questa possibilità restituisce forza e coraggio nel percorso. Forse le riflessioni e le domande sono troppe, ne basta una che sia quella giusta, ma ancora non arriva. Le persone muoiono, così va il mondo, non restano per sempre, direi che vanno via piuttosto in fretta e improvvisamente. Viviamo spinte da una sensazione di eternità, come se ci fosse dato un privilegio di vivere su questa terra per sempre, ma non è così. E’ ‘l’appannaggio della mente’: rimuoviamo questa condizione e spesso non assaporiamo la vita in tutta la sua intensità, se lo facciamo affiora nei ricordi. Il buio continua .. non ricordo, se non pochi eventi ancorati a delle emozioni forti. La sensazione che pervade è di una costante mancanza, quella mancanza che negli anni a venire si trasformerà in bisogni che chiedo silenziosamente ad altri di colmare congiunti a una sensibilità estrema. Il bisogno di salvare il mondo, come lo chiama spesso mia madre.
La rabbia e la bambina buona
Ma chi voglio salvare davvero? Forse è me che devo salvare, ma a differenza di anni, ancora non l’ho fatto. L’eccessiva disponibilità, anche quando va a mio svantaggio, provoca diverse emozioni: il vedere l’altro appagato appaga anche me, ma allo stesso tempo emerge un’emozione che faccio fatica a riconoscere e che manterrò celata dentro.. la rabbia. Mi rendo conto che la rabbia ha dei tabù perché in qualche modo ci riporta nella dimensione umana più estrema, non ci riconosciamo e non siamo più riconosciute come ‘buone’, giuste, accoglienti, ma sperimentiamo situazioni e stati di animo diversi, estremi nella società e nella cultura in cui viviamo. La rabbia, tuttavia, ci riporta a quello che davvero siamo, ci risveglia, manda un messaggio chiaro: tu hai valore e il tuo valore può essere manifestato in molti modi, innanzitutto ascoltandoti, distaccandoti da ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma ci ricollega con un’energia primordiale di sopravvivenza, talmente potente che può divenire un ‘gaiser’ di consapevolezza e indirizzamento verso obiettivi di valore. Una vibrazione apparentemente bassa che si eleva.. quindi la bambina ferita diviene bambina buona che dimentica di ricercare il suo sé, ma si orienta al sé degli altri, ma Sabina non grida. Forse ha gridato all’inizio, ha lottato per ciò che riteneva importante, ma col tempo quella voce diverrà sempre più debole, lieve. La luce: Londra! Il mio primo grido dell’anima è stata proprio lei. Non è soltanto una città, è un’entità vivente.
‘Loosing my religion’
Ho lottato per andare, ho lottato contro tutti per questo diritto che sentivo mio. E affiora il primo vero ricordo, intenso, il ricordo della prima vera decisione importante, il passo che dà valore all’esistenza. E’ talmente forte questo grido che non può tacere, non riesco a soffocarlo, è intenso anche se costa sofferenza il distacco dalla mia famiglia, città, amici. L’idea è partire per un anno, ma so dentro di me che non sarà così. Sono seduta su un muricciolo a piazza Venezia, è bella Roma bellissima, ma è come se non riuscissi ad apprezzarla a pieno. Io e Paola, la mia amica delle superiori, facciamo progetti per il futuro. “Allora, quando si va?” Non ricordo bene cosa abbiamo detto e come siamo arrivate all’idea, tutto si condensa in due ricordi: seduta su quel muricciolo, penso e immagino il mio futuro, di sottofondo la canzone dei REM ‘Loosing my religion’ che ‘marchierà a fuoco’ quel momento. Tante speranze, nuove esperienze e so che sono necessarie. Danno ‘giustizia’ a quel senso di vagare nel mondo che mi appartiene. Mi vedo e mi osservo, con il lavorio delle gambe dondolanti dal muricciolo, con lo sguardo perso nella vita, guardo un punto , ma in realtà è come se guardassi la vita, non nei vissuti, ma nella sua interezza come semplicemente tale. L’aeroporto: i giorni precedenti sono stati caotici di preparazione, la notte prima non ho dormito molto, pensavo a ciò che stavo lasciando ed ero molto triste. Questo incessante attaccamento alle persone invece che alla vita mi disturba. Ci sono tutti. Io e Paola con tante valigie cariche, ci siamo portate il nostro mondo e anche quello della famiglia. Ho la sensazione che sto andando verso un viaggio di sopravvivenza e non di avventura … Il momento dei saluti … mia madre! Mi sono girata un attimo per vederla e ancora oggi piango. Sono io o sono lei? Piango per me stessa, per il distacco? In realtà, io sono felice di andare. Piango per lei? Forse vedo il suo mondo: una vita di sopravvivenza, dopo la morte di mio padre, momenti di disperazione e tante sfide da affrontare nel dolore. Questa è lei dopo di lui, una vita dedicata interamente a me e a mia sorella, a cercare di compensare chi non c’è più, ma soprattutto a ‘sbarcare il lunario’. Guardarla porta la mia anima ad un livello intenso di sofferenza, ma nel buio c’è anche una luce: mia nonna. Ci sostiene tanto, ci spinge sempre oltre ogni limite, non si arrende. Anticonformista mia nonna, una di quelle donne che anticipano i tempi futuri, i cambiamenti che avverranno nella società, perché lei, come poche altre sanno fare, agisce il cambiamento nel quotidiano e non teme di esternarlo. Lei è luce intensa, ha una forza interiore instillata in lei che fin da bambina le ha permesso di lottare contro ogni forma di pregiudizio, primo fra tutti la sua alterata deambulazione, “la sciancata” , come molti stolti la chiamavano. Che orgoglio per me averla avuta al mio fianco. Mia madre mi guarda, non ricordo se piange, ma ricordo che per lei è stata dura lasciarmi andare. Non c’erano cellulari per controllare, ma soprattutto non c’erano così tanti soldi per viaggiare. Sono sempre convinta che l’amore sia una cosa straordinaria, ma in quel momento mi sono resa conto che l’amore è anche sofferenza, comporta una rinuncia di sé per l’altro. In questo caso la rinuncia di una serenità a favore della fiducia nell’altro, nel momento in cui l’altro ha esigenze diverse dalle proprie. Non potrò mai ringraziarla pienamente. Lasciar andare una figlia nel mondo non è semplice. L’apertura mentale che ha dimostrato in quegli anni è stata grande, lei forse non lo sa, ma con questo atto di amore ha riportato la luce nella mia vita.
Sabina Proietti è Coach e Assessor di Intelligenza Emotiva. Laureata in Formazione e Sviluppo del Personale, ha un’esperienza consolidata in contesti multinazionali nell’aree Ricerca e Selezione del personale e Learning & Development. La sua passione è per la persona intesa nella sua totalità, in particolare per gli stili di apprendimento, il potenziale, gli stati emozionali e la crescita personale e professionale. E’ socia fondatrice del centro studi Lo Studente a 360° per diffondere l’Intelligenza Emotiva in ambito scolastico e accademico.
‘Non accontentarti mai dell’orizzonte, cerca l’infinito’ (Jim Morrison).
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