Una ‘sorella’, un’orfana bianca, una strana malattia: vite sospese nel racconto ‘Nadia, la ragazza dell’est’ di Cettina Callea. Italia, 2020.
La incrocio due volte al giorno, mattina e sera. La mattina mentre sono in macchina, la sera quando passa sotto il mio balcone, dove fumo la mia meritata sigaretta. E’ da un pezzo che accade. Quasi un anno. Ho sempre avuto l’abitudine, sin da piccola, di provare curiosità per gli sconosciuti e fantasticare sulle loro vite. Lo faccio spesso, anche quando guardo attraverso le tende delle finestre e immagino, oltre il vetro, una mamma che allatta, un papà che cucina o una bambina che fa i compiti.
C’è qualcosa in lei che mi incuriosisce
E’ bella la donna che incrocio da quasi un anno, con i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Sarà sulla trentina ed è dell’Est, forse rumena. Ce ne sono tante dalle mie parti. Non so di che colore abbia gli occhi perché la mattina anche se è grigio, porta sempre gli occhiali da sole e la sera la vedo dall’alto. C’è qualcosa in lei che mi incuriosisce, una certa malinconia e un senso di solitudine.
Le ho voluto dare un nome e ho deciso che si chiama Nadia. So dove va ogni sera e so che al mattino torna a casa. Nadia va dalla sua vecchietta, sera dopo sera e con lei passa tutta la notte. La vecchietta ha l’Alzheimer e i figli hanno cercato qualcuno che si potesse prendere cura di lei perché hanno famiglia e la notte non possono stare con la madre.
Ce ne sono tante come lei
Nadia è perfetta per questo compito. E’ sola, straniera, lavora in nero. D’altra parte, la vecchietta ha una pensione da fame e i figli a volte non arrivano neanche a fine mese. Mettere in regola una badante costerebbe troppo. Ce ne sono tante come lei, fortunate, certo, perché almeno hanno un lavoro. Alcune badano agli anziani addirittura ventiquattro ore, un giorno dopo l’altro, per anni e quando dopo anni tornano a casa con un buon gruzzoletto, il gruzzoletto non serve più a nulla, perché, pare, si ammalino di una strana malattia che chiamano “sindrome Italia”.
Ha una voce dolce
La immagino Nadia a casa della vecchietta. Ora sta apparecchiando la tavola, mentre la pastina bolle nel pentolino. La vecchietta segue Nadia con lo sguardo, mentre compie, come al solito, il suo rituale serale. Spegne il fuoco, versa un mestolo di brodaglia fumante nel piatto e poi un filo d’olio. Sistema la vecchietta come se fosse una bambina e comincia ad imboccarla. Ha una voce dolce mentre la nutre. Lo fa bene, sembra allenata, abituata a questa pratica materna.
Si occupava di corrispondenza
Già, è così. Nadia è madre, ma sua figlia ha dovuto lasciarla. Sta con la sorella di Nadia e studia nel suo Paese d’origine. Ha dovuto lasciarla perché non riusciva a tirare avanti là. L’azienda per cui lavorava era fallita e dopo non ha trovato più niente che facesse al caso suo. Anche lì, nel suo Paese, dopo i trent’anni non è facile trovare lavoro. Lei si occupava di corrispondenza e conosceva benissimo l’italiano. Per questo l’Italia era il posto ideale per lei. La sua amica Dora l’avrebbe ospitata. Condividere un bilocale per due donne sole, straniere, senza un lavoro stabile, sarebbe stato conveniente.
C’è qualcosa che me la fa sentire vicina o, meglio ancora, “sorella”.
Non so niente di lei, se non quello che ho immaginato, ma c’è qualcosa che me la fa sentire vicina o, meglio ancora, “sorella”. Sarà che anche io sono madre e percepisco il suo dolore muto per la distanza della figlia, dolore per ciò che entrambe si stanno perdendo l’una dell’altra. Immagino anche la figlia, una delle tante orfane bianche sparse negli angoli più sperduti della terra. Sarà questo il principale motivo dell’aria malinconica di Nadia. Lo so quanto sia difficile comunicare con un’adolescente. A volte ci sono dei muri insormontabili e una fredda videochiamata non è sufficiente ad oltrepassarli, specialmente quando più che suoni e immagini, sarebbero necessari soprattutto abbracci e carezze.
Le sorrido e le chiedo “Caffè’?
La immagino Nadia. Ora ha messo il pannolone alla vecchietta. Prima di adesso lo aveva fatto solo con sua figlia bambina e con i suoi nipoti. La maneggia con gentilezza la vecchietta dal corpo molle, la pelle cadente, l’odore acre. Per fortuna che lei è buona e non si ribella a Nadia. Mai. Ubbidisce alle sue istruzioni anche se la “bestia” che ha aggredito la sua testa l’ha privata di ricordi, pensiero e dignità.
Stamattina dovrò essere al lavoro più tardi, ma scendo di casa alla solita ora. Mi fermo al bar ed entro. Ordino il mio caffè macchiato al banco, quando un “buongiorno” interrompe la mia attesa. Mi giro ed è lei. La giovane donna che io chiamo Nadia, di cui ho immaginato la vita. Le sorrido e le chiedo “Caffè’?. Ricambia il mio sorriso, fa cenno di sì e ringraziandomi, sposta i suoi occhiali sulla testa. I suoi occhi sono grandi, scuri e un po’ tristi.
“Sicuramente ci rivedremo”
Scambiamo due parole, mi dice che ha pochi amici, ma non ha tempo per averne. Lavora anche di pomeriggio. Fa le pulizie in due uffici, perché deve guadagnare il più possibile per far studiare sua figlia rimasta in Romania con sua sorella. Ci salutiamo con una stretta di mano. “Sicuramente ci rivedremo. Passo spesso di qua- conclude- ma, la prossima volta, offro io!”.