I sogni di bambina risucchiati in una spirale di violenza. Ha il ritmo di una crime story il racconto ‘L’amore legato’ di Laura De Benedetti. Italia, anni 2000
Il respiro suona come ancestrale attraverso la maschera d’ossigeno, una macchina traduce in impulsi elettrici i battiti cardiaci.
Il volto di Emma è tumefatto, il suo corpo, nel letto d’ospedale, è bendato. Riaffiora alla coscienza e lo vede. Nell’angolo a destra un uomo coi capelli bianchi, le mani in tasca, nervoso, guarda fuori dalla finestra.
Lei richiude gli occhi e ricorda. Lui, suo padre, più giovane, in tuta da operaio, rientra a casa: “Ecco la mia principessa!” esclama, mentre lei, bambina, gli salta in braccio, felice. Principessa, Principessa. Una fiaba, lei col principe azzurro. Tutto torna buio.
Interno familiare
Emma riaccende lo sguardo: quant’è passato? Ore? Minuti? Lo sguardo scruta la stanza; seduta alla sua sinistra c’è una donna: vestiti fuori moda, capelli scoloriti, lo sguardo spento.
Il tempo si riavvolge: la donna, sua madre, una quindicina d’anni prima, guarda fisso davanti a sé mentre lava i piatti: Emma, ragazzina, fa i compiti sul tavolo, in quella cucina un po’ tetra. Attraverso il varco nella porta, nella penombra del salotto, suo padre in poltrona, una birra in mano, guarda la partita. “Dov’è l’amore?” canta Cher alla radio, in sottofondo. Principessa, Dov’è l’amore? Dov’è l’amore?
Ufficiale e gentiluomo
Emma geme per una fitta. Il battito si fa leggermente più accelerato, il respiro meno profondo.
L’uomo sobbalza, guarda le due donne, poi riporta lo sguardo al di là del vetro.
L’impronta di un ricordo cancella il presente: Emma ha 15 anni e sospira davanti allo schermo tv. Richard Gere prende in braccio Debra Winger e, tra gli applausi delle operaie, porta la donna che ama fuori dalla fabbrica. Un gentiluomo, un ufficiale. “Bugiardo, bugiardo… – piagnucola sua madre in cucina – almeno non portarti quelle donnacce lì, vicino al fiume, dove vanno le coppiette. La mia amica ti ha visto, non negare”. Il padre le molla un ceffone: “Belle amiche che hai…! Ricordati che sono io, qui, che porto lo stipendio: non ti permettere”. Discussione finita, si va tutti a letto. Attraverso la parete Emma sente suo padre ansimare sopra sua madre: lei neppure un suono. Rivede Richard Gere e Debra Winger fare l’amore in una camera d’albergo. Principessa, Dov’è l’amore? Richard, Richard.
Fare l’amore, come nei film
Gli occhi di Emma si inumidiscono. La pressione sale, le dita hanno un fremito.
La memoria si fa più recente: “Sei sicura?”. “Sì te l’ho detto, mio padre è al corteo dello sciopero, mia madre da mia zia”. Roby le passa la sigaretta, la guarda negli occhi. La spoglia, fanno l’amore. Lei geme, un po’ sopra le righe, vuole sentirsi. Ha 17 anni, è innamorata, felice. “Certo che un letto è più comodo della mia utilitaria”: Emma e Roby ridono, si rivoltano tra le lenzuola. “Puttanella!”: suo padre è sulla porta paonazzo, ringhia come un cinghiale ferito. Roby afferra i calzoni, la maglietta, scappa fuori mentre il padre di Emma lo prende a calci. Lei rimane inerme, in lacrime, di fronte alla sua furia: “Papà io… lo amo”. “Sei solo una sgualdrinella come tante”: Le parole bruciano più degli schiaffi. Principessa, Dov’è l’amore? Richard, Sgualdrinella, Sgualdrinella.
Flashback
Il respiro diventa affannoso, i battiti frequenti, il corpo di Emma trema. Sua madre allunga il collo, incerta.
Il flashback afferra Emma per la gola: “Puttana!” “No Roby te lo giuro, è un collega, mi ha offerto un caffè e abbiamo parlato di lavoro”. “Ah, adesso lo chiami lavoro…”. Un’altra casa, più piccola ma più luminosa. “Vattene” gli grida lei. “Aveva ragione tuo padre, sei solo una troia”, lo schiaffo la colpisce in pieno volto, “ed io che mi spacco la schiena in officina”. “Vattene, hai bevuto con quegli stupidi dei tuoi amici”. “Almeno loro mi sono fedeli, stronza”. Stavolta è un pugno. Poi sono botte su botte. Principessa, Dov’è l’amore? Richard, Sgualdrinella, Botte, Botte.
Suona l’allarme: il corpo di Emma è in preda ai sussulti. Sua madre si ritrae contro la parete, suo padre esce, gli infermieri accorrono al capezzale. Buio.
L’alba di un nuovo giorno
“Il sole sta per sorgere: è il momento”. Sara, la psicoterapeuta del Centro Antiviolenza, le scosta le lenzuola, le prende un braccio per invitarla ad alzarsi. Due volontarie cacciano le sue poche cose in un borsone. Una poliziotta, sulla porta, controlla il corridoio: ci sono ancora le mezze luci e il silenzio è scandito da qualche colpo di tosse o dallo sciabattare dell’infermiera. La voce di Emma trema: “E’ troppo presto… Non sto ancora bene”.
Sara, le siede accanto, le cinge le spalle con un braccio: “Emma, so che lui è stato qui. Che ti ha giurato che non accadrà più, che si è rotto nel pianto implorando il tuo perdono….”. Poi, impietosa, le punta uno specchio davanti al viso, dai lividi sempre più verdognoli: “E’ questo l’amore speciale che ha per te!”.
Emma scuote la testa: “Non posso andarmene”.
Sara l’accarezza: “Vedi il sole che sta per spuntare? Ci vorrà un po’ perché ci sia luce e riscaldi ma da oggi per te è un nuovo giorno”.
La ricetrasmittente della poliziotta gracchia, lei si volta di scatto verso di loro: “Roberto è qui. Sbrigatevi”.
Sara balza in piedi: “Glielo hai detto tu! Bambina, questo non è un gioco!”. La collega le porge una maglia e Sara la infila al collo di Emma, sopra la camicia da notte.
“No… ho solo detto addio ai miei… forse gliel’ha detto mio padre…”.
La radio gracchia ancora: “E’ agli ascensori. Via! Ora!” intima la poliziotta.
“Non dovevi dirlo a nessuno! A nessuno!”. Sara, china ai suoi piedi, le infila un paio di stivaletti.
Roberto preme il quarto piano.
“Di qua” fa cenno l’infermiera, mentre infila la chiavetta per aprire l’ascensore riservato al personale con le barelle, appena dietro l’angolo.
Sentono i passi di Roberto che, i fiori in mano, apre la porta della sua camera. Le ante dell’ascensore si chiudono sul suo urlo rabbioso: “Emmaaaaa!”.
La sedia ribaltata, le ante dell’armadietto sbattute, il comodino con le rotelle che impatta contro il muro, le grida di paura delle altre ricoverate, il vociare degli infermieri, echeggiano, allontanandosi nella discesa.
La poliziotta fa strada attraverso i corpi, coperti da un lenzuolo, dell’obitorio. Emma quasi non tocca terra mentre corre, sorretta dalle altre donne. Le sue gambe, sotto il velo della camicia da notte, tremano di paura e di freddo: la caricano di peso sull’auto della polizia che parte sgommando, senza sirene.
Roberto spalanca la finestra, guarda giù. A quell’ora all’ingresso dell’ospedale c’è solo un nugolo di infermiere che si affretta ad entrare per il cambio turno: si sporge, ansima e ripete “Emma, Emma”. Un poliziotto e due infermieri aprono la porta mentre i fiori volano nell’aria, sparpagliati in controluce sul primo raggio di sole. Principessa, Dov’è l’amore? Richard, Sgualdrinella, Botte, Sole, Sole.
Striscioni e lucchetti
“Lui mi ama davvero, fa cose pazze per me…”. Emma, nel tinello con cucinino ricavato alla Casa delle donne, si sente addosso lo sguardo della psicoterapeuta: non trasuda condanna ma neppure comprensione.
Emma gesticola, si sforza di sorridere, vuole convincerla: “Una volta Roby ha appeso un lenzuolo con su scritto ‘Emma perdonami I love you’ al cavalcavia, sulla tangenziale, dove passavo per andare al lavoro. Quando l’ho visto ho capito subito che era per me!”. Sara continua a scrutarla senza parlare. “Non capisce? Aveva comprato lo spray e l’aveva scritto, poi c’era un cuore e poi è andato lì, nel cuore della notte, per appenderlo… Io… Insomma, nessuno ha mai fatto qualcosa così per me! E’ rimasto lì dei mesi ed ogni mattina mi ricordava che ero l’unica…”.
Sara attende che l’enfasi scemi: “Questo non è amore… ci cascano in tante”.
Emma è spazientita, si spinge sulla punta della sedia: “Come no! Non sono mica stupida! Per lui sono speciale, diceva che ero la sua Giulietta!”.
“Ed infatti è finita in tragedia…”.
“No, lei non capisce…”.
“Capisco benissimo. Piuttosto, tu ti ascolti? Hai detto che faceva cose pazze per te… e quasi sei finita all’obitorio. Stava solo manipolando il tuo bisogno di affetto”
Emma scuote le testa energeticamente: “Non è vero…”
“Perché?”
“Perché cosa?”
“Perché lo striscione: cosa dovevi perdonargli?”
Emma si getta indietro sulla sedia: “Non so… non me lo ricordo… Ah sì, aveva dato della troietta alla mia amica, lei lo aveva mandato affanculo. Io l’ho difesa…”
Sara sospira: “… L’hai difesa e l’hai lasciato, lui ti ha chiesto scusa in modo plateale e tu l’hai perdonato. Ma poi hai dovuto scegliere: lei o lui. E ti sei detta che è normale passare più tempo col proprio ragazzo. Beh, sai che ti dico? In questo modo lui ti controllava e ha cominciato a fare deserto intorno a te. E’ un egocentrico, che non è mai cresciuto. Dimmi un po’, l’avete legato un lucchetto su qualche ponte?”.
Emma incrocia le braccia in segno di difesa e le sue guance si fanno di fuoco.
Sara incalza: “Sapeva sempre dov’eri? Con chi eri? In quanti messaggini si misurava la vostra relazione?”
Emma abbassa gli occhi e si affossa nella sedia, poi comincia a piangere via lo stordimento, il dolore, cercando di trovare spazio per una nuova sé.
Principessa, Dov’è l’amore? Richard, Sgualdrinella, Botte, Sole, Emma, Emma.
Laura De Benedetti, giornalista professionista, attivista per i diritti civili delle donne, è autrice del romanzo ‘Il giusto mondo’, edito in ebook, una indagine su un femminicidio per dimostrare che la parità di genere non esiste, in nessun luogo al mondo.
Invia anche tu la tua storia qui
Home italiano – Home english